Paolo Spinoglio

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Castellamonte

May 17, 2013
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July 17, 2013

Con la sua opera, che comprende terre refrattarie e ceramiche, bronzi e marmi, dipinti e disegni, Spinoglio attraversa idealmente tutto il Novecento per il tramite di un viaggio ulissideo (il mythos di un eroe, dice Omero, poikilometes, cioè che ha il dono di una mente "dai molti colori") che arriva, dopo la grandissima, sublime, avventurosa rapina di Arturo Martini, al punto dove la scultura, ignorando non per superbia o per indifferenza ma per naturale distacco quasi ogni influsso estetico e formale, si fa fabula, sentimento e verità.

Tale tragitto scorre, come un fiume calmo ma vivo, tra le opposte sponde, le diverse estremità, di arcaismi, di primitivismi, di archeologismi, di mitologie da una parte e di modernismi, con deformazioni e con lacerazioni dall'altra.

Passa di lato, distante, sempre esterno alle più varie esperienze di tendenze o di gruppi; non si possono porre, a suo riguardo, questioni di avanguardia, di astrazione, di ricerche sperimentali, di dramma informel, di emergenza della materia, e neanche di visione classica.

In effetti, Spinoglio sembra solo di fronte alla materia che attende la sua mano o il suo strumento per essere violata, impastata, colorata, invetriata e cotta al forno, con una techne da cui è bandito ogni orpello, ogni movimento decorativo, ogni scoria, ogni configurazione che non sia essenziale, necessaria a quel rapporto immediato tra moto dell'animo e sua espressione, tra phronesis, pensiero e sua incarnazione plastica.

In due terrecotte monocrome della maturità, Donna con cane del 1991 e Bambina alla finestra del 1993, l'azione è fissata in un momento in cui si concentra un intero racconto, il senso di un'esistenza, di una consuetudine, di una fatalità data in tenerezza e in umana solitudine, mentre in Amanti rossi, sempre del 1993, si manifesta un'agitazione di sentimenti e di forme, di amore e di natura: l'unione tra l'uomo e la donna come materialità e sacralità della vita.

Sennonché, Ragazza con vestito blu del 1995 circa e Donna a fette colorata del 1999 rivelano una personale e metaforica interpretazione scultorea dell'"oscuro grembo" di Martini, ma ancora un desiderio di consumare le superfici nella tessitura pittorica, e i due aspetti corrispondono alla physis, all'indole spinogliana che, se è fondamentalmente istintiva e spontanea, svela nondimeno ‒ con Donna uovo del 1998 e con Busto di afghana del 2001 ‒ un'intensa sensibilità artistica e culturale.

(Floriano De Santi)

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